Essere disabili nel 21esimo secolo non è certamente una cosa semplice. Anzi, è affare estremamente complesso. Di norma, i disabili sono tra quelle categorie a più alto rischio di marginalizzazione sociale in tutto il mondo, dagli Stati Uniti ai paesi dell’Estremo Oriente. Le stime delle Nazioni Unite segnalano la presenza, in tutto il globo, di circa 650 milioni di persone disabili. Circa l’80% di loro vive nei paesi in via di sviluppo, dove un terzo dei bambini in età scolare è affetto da disabilità.
Per far fronte a questa problematica così diffusa ogni stato ha cercato di adottare nel tempo soluzioni diverse che hanno dato alla luce anche ad esempi virtuosi per contrastare l’esclusione dei disabili.
Per esempio, il Giappone si colloca ad un elevato livello d’implementazione di pratiche innovative per permettere alle persone affette da disabilità anche gravi di partecipare alla vita lavorativa. Alcune persone costrette a letto da patologie pervasive, che gli impediscono qualsiasi forma di movimento e che necessitano di costante assistenza, sono state inserite in un programma sperimentale grazie al quale, tramite adeguati supporti tecnologici, sono state in grado di comandare a distanza (attraverso un sofisticato sistema di eye tracking) dei robot che svolgono il servizio da cameriere in bar e ristoranti. Grazie ad uno strumento di codifica vocale, i pazienti potevano prendere ordinazioni e interagire direttamente con i clienti come se fossero davanti a loro. In questo modo anche persone altamente compromesse si possono rendere utili in ambito lavorativo.
Il Giappone può essere considerato un caso da cui prendere ispirazione nel modo in cui si cerca di integrare i disabili nel tessuto sociale anche se purtroppo, soprattutto nei paesi emergenti di Africa, Asia e Sud America, la situazione è decisamente diversa.
Il caso del Nepal è piuttosto rappresentativo. Il Nepal, paese sito tra India e Cina, incastonato alle pendici dell’Himalaya sul versante Indiano, ha varato solamente nel 2017 una legislazione comprensiva di aiuto ai disabili. Oltre al mostruoso ritardo rispetto ad altri paesi, il riconoscimento giuridico delle disabilità è solo il primo di una lunga serie di passi che il paese dovrebbe compiere in direzione delle persone affette da disabilità. Il Nepal, infatti, sconta tutta una serie di limitatezze che fungono da freno ad una effettiva integrazione dei disabili nella società.
Uno delle prime ragioni che non permette ai disabili nepalesi di ricevere un adeguato aiuto nel superare le barriere socio-culturali che la loro disabilità gli impone è la conformazione geografica del paese. Il Nepal, patria della catena montuosa più grande del mondo, con il massiccio dell’Everest (8.848 m) in testa, è ricoperto per più del 70% da montagne e colline intervallate da continui dislivelli che rendono lo sviluppo di una adeguata rete infrastrutturale e assistenziale per i disabili difficilmente praticabile.
Inoltre, esistono pochissimi centri di assistenza ai disabili. Per la maggior parte sono dislocati in aree urbane che sono mal collegate con le zone rurali circostanti, dov’è concentrata la maggior parte della popolazione e il numero di questi centri non è sufficiente per trattare la totalità dei disabili in Nepal. Di conseguenza, tutti coloro che sono o troppo lontani dai centri di assistenza o non hanno i mezzi necessari per potersi recare a tali centri, sono esclusi dal circuito assistenziale per i disabili. Ciò porta molte famiglie a tenere i propri figli anche in situazioni gravi a casa, spesso lasciati soli per tutto il giorno mentre i genitori devono andare a lavoro.
Un altro elemento di sofferenza per i disabili Nepalesi è dovuto ad una diffusa mancanza di conoscenza delle disabilità stesse. Per essere più precisi, in Nepal non è raro che una persona affetta da disabilità psichica non venga nemmeno riconosciuta tale. Questo accade anche quando un paziente viene trattato dal personale medico-sanitario. La causa principale di questa lacuna si può attribuire alla mancanza di conoscenza medica delle patologie e delle forme in cui si manifesta e cura la disabilità da parte dello stesso personale nepalese, e più in generale dell’intera popolazione. In un paese che si affida ancora in buona parte ad un concetto di ‘medicina tradizionale’, alieno alle pratiche scientifiche della medicina Occidentale, i disabili soffrono le carenze più gravi.
Inoltre, la cultura nepalese considera i disabili, se e quando riconosciuti come tali, alla stregua di essere intoccabili che dovrebbero essere nascosti alla comunità. La popolazione nepalese, suddivisa in 36 diverse etnie in prevalenza di religione indù, ha perlopiù conservato nel suo sistema di organizzazione sociale il retaggio culturale della suddivisione delle persone in caste, trasmesse da padre a figlio per discendenza. Le caste che si trovano nel gradino più basso della scala sociale nepalese sono quelle degli “intoccabili” e, secondo la cultura induista, si trovano in quelle posizione a causa dei loro comportamenti probi e inaccettabili nelle vite precedenti. Di norma, i disabili vengono considerati degli intoccabili che sono stati puniti. Tale concrezione, come potete ben immaginare, non fa altro che aumentare la marginalizzazione dei disabili nella vita quotidiana. È infatti piuttosto comune, mentre passeggiamo in una qualsiasi località del Terzo Mondo, assistere all’inquietante fenomeno dove per le strade non si vede passare nessun disabile, né in carrozzina né accompagnato. L’indifferenza e alle volte il disprezzo verso questa categoria contribuiscono a rendere letteralmente “invisibili” i disabili, spesso abbandonati in qualche stanza senza poter entrare in contatto con nessuno.
Il maglio della condizione di marginalità sociale dai disabili in Nepal si fa sentire soprattutto sulla loro vita educativa. Difatti, uno studio condotto dell’UNICEF ha dimostrato che il 58% dei disabili nepalesi sono analfabeti. Questo dato, comparato con i dati sulla scolarizzazione dei non-disabili, mostra un tasso di analfabetismo del 39% per i normodotati, un terzo rispetto ai loro compagni disabili.
Se si nasce disabili in Nepal, si hanno ottime probabilità di non imparare mai a leggere e scrivere. Le difficoltà oggettive del sistema scolastico nell’integrare i disabili all’interno processo educativo è parzialmente imputabile, sempre stando allo studio UNICEF, alla scarsa preparazione del personale scolastico ad interagire e ad equiparare i programmi con i disabili. La diretta conseguenza è che i disabili o non vanno proprio a scuola, o si ritirano da scuola prima di aver completato gli studi.
Contribuire alla realizzazione di sistema educativo inclusivo e cosciente delle pesanti ripercussioni che la povertà educativa porta nelle traiettorie di sviluppo delle persone disabili, come recita il 4° Obiettivo per lo Sviluppo Sostenibile dell’ONU, è fondamentale per evitare un sempre più preoccupante impoverimento della qualità di vita di queste persone.
Alcune associazioni e organizzazioni del Terzo Settore, tra cui la nostra partner Friuli Mandi Nepal Namasté , stanno contribuendo alla costruzione e al mantenimento di nuovi centri diurni per disabili nel centro urbano di Kathmandu e dei villaggi circostanti e da anni coinvolgono gruppi di volontari dall’Italia, tra medici, fisioterapisti e infermieri, per visitare gli ospiti dei centri e portare dispositivi sanitari e riabilitativi. All’interno di uno di questi centri, interamente gestiti da personale nepalese, è nata un’officina di manutenzione e riparazione di carrozzine dove a lavorare sono i ragazzi del centro costretti in sedia a rotelle. Proprio in questi giorni hanno ricevuto l’incarico dall’ospedale di Kathmandu di rimettere in sesto 50 carrozzine per i pazienti dei vari reparti.
Come si è potuto vedere, qualcosa si sta muovendo nella direzione dei percorsi inclusivi per le persone diversamente abili nella terra del Buddha Gautama, iniziative in parte promosse da realtà no profit indipendenti, anche se risulta evidente che l’impegno che dovrà essere profuso prima di tutto dalle autorità centrali in materia di imprenditorialità inclusiva, educazione aperta e fruibile per tutti e formazione medico-sanitaria adeguata sarà ancora molto.
Come associazione di promozione di attività di volontariato, pensiamo che portare programmi educativi e formativi rivolti ad insegnanti, educatori, dirigenti e cittadini in generale possa portare un cambiamento positivo e che nasca periferalmente nella percezione e nel trattamento della disabilità in tutti i paesi in via di sviluppo.