Cos’hanno in comune un’infermiera, uno psicoterapeuta, una assistente sociale e un volontario?
Apparentemente sembrerebbero mansioni ben distinte con percorsi carrieristici paralleli tra loro. Eppure tutti questi professionisti possono rischiare di sviluppare la “sindrome da burnout”.
Ma cos’è effettivamente?
THE BURNOUT SYNDROME
La sindrome da burnout è un particolare disagio psicofisico connesso al lavoro che interessa, in varia misura, diversi operatori e professionisti impegnati quotidianamente e ripetutamente in attività che implicano relazioni interpersonali con persone che vivono stati di disagio o sofferenza.
In assenza di un supporto psicologico adeguato, queste persone sviluppano un lento processo di logoramento psicofisico dovuto alla mancanza di energie e di risorse mentali per sostenere e scaricare lo stress accumulato. In tali condizioni è possibile che essi si facciano carico eccessivamente dei problemi delle persone di cui si prendono cura, non riuscendo più a mantenere il giusto distacco emotivo.
come viene riconosciuto?
Il “burnout” comporta reazioni come: esaurimento emotivo, depersonalizzazione, atteggiamento improntato al cinismo e un sentimento di ridotta realizzazione personale. Chi ne è affetto tende a fuggire dall’ambiente lavorativo assentandosi frequentemente, e lavorando con minor entusiasmo ed interesse fino ad arrivare a un logoramento tale da provare frustrazione e insoddisfazione, nonché una ridotta empatia nei confronti delle persone delle quali dovrebbe occuparsi.
Il “burnout” si accompagna spesso ad un deterioramento del benessere fisico, a sintomi psicosomatici come l’insonnia e psicologici come la depressione. I disagi si avvertono dapprima nel campo professionale, successivamente vengono con facilità trasportati nella sfera interpersonale: l’abuso di alcol, di sostanze psicoattive ed il rischio di suicidio sono la causa-effetto di tale disagio.
Chi colpisce in particolare?
Tutti coloro che sono coinvolti nei progetti di volontariato sia a livello locale che internazionale, il rischio di sviluppare tale sindrome è concreto. Attività intense e prolungate potrebbero mettere a dura prova i volontari in termini di lontananza dalla propria casa e famiglia; senza contare le esperienze in luoghi sperduti e colpiti da gravi calamità e sofferenze. Per le organizzazioni di volontariato, quindi, è cruciale implementare dei processi per gestire al meglio il proprio personale, anche dal punto di vista psicologico.
Consigli che possono alleggerire questa situazione possono essere:
TRASPARENZA
Un modo per prevenire il rischio di “volunteer burnout” è quello di essere il più trasparenti possibile nella fase di reclutamento dei volontari. Ciò genera fiducia nei potenziali candidati esponendo chiaramente gli oneri e le responsabilità insite nell’opportunità di volontariato. Inoltre, permette all’organizzazione stessa di acquisire una profonda conoscenza dei ruoli prima della fase di assegnamento dei ruoli. Fornire una descrizione dettagliata del lavoro aiuta anche a “scremare” chi non è realmente interessato o non si sente coinvolto appieno negli obiettivi dell’organizzazione.
COMUNICAZIONE
La parola chiave è comunicare.
Interloquire efficacemente con i propri impiegati e volontari è uno degli elementi più importanti da prendere in vivida considerazione, soprattutto per evitare esaurimenti nervosi e mantenere tutti sul pezzo. Una comunicazione efficace è in grado di mettere in comunione di intenti il reparto organizzativo e quello operativo: ascoltare i volontari è fondamentale per intervenire prontamente in caso di problemi, evitando che qualcuno si senta schiacciato dal peso della responsabilità.
RICONOSCIMENTO
Premiare i volontari è un ottimo modo per mantenere alto il morale ed il livello di coinvolgimento. Non si tratta di elargire somme di denaro ma piuttosto di renderli partecipi dei buoni risultati ottenuti grazie ai loro sforzi. Non dimentichiamo che il loro scopo è fare la differenza!
SVAGO E SALUTE MENTALE
Assicurarsi che i volontari siano concentrati sulla propria salute mentale e che si concedano dei giusti periodi di riposo è un’altra best practice per evitare problemi di burnout. A tal proposito è utile stabilire una policy che impedisca al volontario di partecipare a troppi progetti consecutivi o per tempo prolungato, e che faciliti eventuali richieste di ferie o permessi. Nel caso di organizzazioni non profit operanti in scenari particolarmente impegnativi, va assolutamente esplorata la possibilità di offrire un supporto psicologico di tipo professionale facilmente accessibile anche mediante la stipula di convenzioni con psicologi e psicoterapeuti.
Ricapitolando, gli aspetti da curare particolarmente se gestite un team di volontari o se siete dei volontari e state valutando se collaborare con un’organizzazione sono:
- Trasparenza
- Comunicazione
- Riconoscimento
- Svago (inteso come tempo a disposizione del volontario tra un progetto e l’altro)
- Salute mentale