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STORIE DI VOLONTARIATO – Coltivare l’empatia nelle scuole con Bianca

Ciao Bianca, iniziamo parlando un po’ di te: chi sei, quanti anni hai e come mai ti sei avvicinata al mondo del volontariato internazionale?

Io sono Bianca, ho 24 anni e vivo in provincia di Firenze. Dopo il liceo artistico ho deciso di iscrivermi all’università per studiare Cooperazione Internazionale perché, grazie a un viaggio in Bosnia passato a conoscere le popolazioni colpite dalla guerra del ’92, ho capito che nel futuro avrei voluto lavorare nel settore no profit e della cooperazione.

Fin da piccola, il mio sogno è sempre stato l’Africa. Ancora oggi non saprei spiegare il motivo. Forse per la cultura, per la natura, per i luoghi, per le persone e la loro capacità di resilienza; ma l’Africa mi ha sempre affascinata.

Per questo una volta laureata, nel 2021, mi sono messa subito alla ricerca di un’associazione di volontariato internazionale con cui partire. Volevo realizzare il mio sogno ed iniziare a professionalizzarmi ma in quel periodo, a causa del Covid, non era facile spostarsi liberamente; quindi per qualche mese ho dovuto accantonare il mio progetto.

Come hai conosciuto Plannin’Around e perché hai scelto questa associazione?

L’anno scorso, navigando su internet, ho scoperto l’associazione di volontariato Plannin’Around. Leggendo le loro proposte sul sito sono rimasta subito colpita da due aspetti: la possibilità di candidarsi aperta anche per i giovanissimi aspiranti volontari e volontarie (dai 18 ai 30 anni ndr), e la presenza di un corso di formazione pre-partenza. Ma quello che più mi ha convinta è stata l’opportunità, offerta tramite dalle Calls4Projects, di creare un progetto di volontariato personale basato sulle esigenze reali delle comunità dove sarei andata ad intervenire. Per me, che ambivo a fare quel lavoro, era l’incarnazione di un sogno e un’ottima opportunità per iniziare a fare esperienza. 

A partire dal colloquio di selezione mi sono da subito trovata molto bene. I ragazzi dell’associazione sono tutti giovani e il clima era molto friendly. A dirla tutta, in un primo momento il fatto che l’associazione fosse giovane mi dava qualche insicurezza, ma la mia si è immediatamente dimostrata una paura infondata. Fin dall’inizio si sono dimostrati tutti molto seri, competenti ed organizzati, cosa che poi si è confermata anche attraverso il supporto ricevuto sia durante la formazione che durante lo svolgimento del progetto in Africa. 

Quale è stato il tuo progetto e come è nata l’idea?

Ho realizzato un progetto educativo in due scuole primarie, una a Suguta (Kenya) e una a Moshi (Tanzania), il cui scopo era lavorare sul tema dell’empatia. I contesti di lavoro erano molti diversi tra loro. In Tanzania, ad esempio, i bambini erano più abituati a vedere persone straniere, a differenza del villaggio di Suguta, in Kenya, dove le occasioni di confronto dei locali con gli occidentali sono molto poche, perciò è stato necessario prendersi del tempo per introdurre le nuove idee e concetti che volevo portare con il mio progetto.  

Il progetto prevedeva la realizzazione di laboratori incentrati sul fornire ai bambini “strumenti e metodologie per migliorare le soft skills”. Nel concreto, i bambini venivano coinvolti all’interno di attività educative durante le quali erano spinti a collaborare e a riflettere su valori come, appunto, l’empatia, l’inclusione e il rispetto; il tutto con il fine di potenziare le proprie capacità relazionali. I laboratori erano un mix tra arte, scrittura e sport. Trascorsi i due mesi previsti per la mia permanenza, a fine progetto abbiamo strutturato delle giornate conclusive di gioco e, in Kenya, siamo riusciti ad organizzare anche delle Olimpiadi e uno spettacolo con canti e balli. 

Quali sono state le difficoltà principali che hai riscontrato una volta arrivata a destinazione?

Per quanto riguarda le difficoltà relative al contesto, sicuramente all’inizio lo shock culturale è stato tanto ma io devo dire che mi sono abituata velocemente e in modo naturale. Ho solo ricordi positivi legati all’ambiente di lavoro e alle persone incontrate, anche se ero consapevole di essere percepita come “diversa”. Questo è stato molto importante poiché mi ha permesso di riflettere su cosa significa trovarsi in una situazione di minoranza, sensazione mai provata prima di allora.

In generale, mi sono sempre trovata a mio agio e sentita sicura. Il confronto con una cultura diversa mi ha spinta a rafforzare la mia apertura mentale e ridefinire l’importanza dell’ascolto e del rispetto. Per fare questo tipo di esperienza bisogna essere disposti a cercare di capire l’altro senza giudicare e senza avere la presunzione di insegnare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Dare il proprio contributo portando concetti nuovi ma senza forzarli, lasciando che attecchiscano da soli.

Per quanto riguarda il progetto, invece, inizialmente sono emerse alcune difficoltà riguardanti l’impostazione. In quei contesti, come tra gli studenti e le studentesse delle scuole dove ho realizzato le mie attività, concetti come l’empatia sono abbastanza trascurati e sconosciuti quindi non sapevo se il mio progetto avrebbe funzionato, o se i valori che volevo trasmettere sarebbero stati recepiti. Ulteriore ostacolo è stata la lingua poichè i laboratori erano in inglese e non tutti erano in grado di comprendere bene tutti i termini, ma grazie al supporto degli insegnanti siamo riusciti a coinvolgere anche gli studenti meno ferrati in materia. Alla fine, aggiustando alcune attività, sono riuscita a realizzare quello che volevo e sono certa che a tutti i bambini qualcosa sia rimasto, che qualche semino sia stato piantato. In conclusione, posso affermare di essere rimasta molto soddisfatta dei risultati ottenuti, anche perchè mi sono resa conto che ideare un progetto è molto diverso dal metterlo in pratica e bisogna sapersi adattare e mettere in discussione. 

Il corso di formazione ti è stato d’aiuto per capire meglio come strutturare il progetto e per incrementare il tuo impatto sociale? 

La formazione è stata fondamentale per scrivere il progetto ed acquisire nozioni su come organizzare le attività e sulle metodologie da mettere in pratica, ma anche per iniziare a familiarizzare con il contesto nel quale sarei andata ad operare. Molte associazioni non offrono corsi di formazione, mentre per me era indispensabile apprendere come strutturare un progetto, come poter essere efficace in un contesto d’intervento sconosciuto e realizzare le mie attività in sicurezza. Infatti, le giornate di formazione mi hanno aiutata moltissimo per preparami e darmi il sostegno di cui avevo bisogno. Grazie ai docenti in aula e ai tutor, che mi hanno seguita durante tutta la stesura del progetto e durante la realizzazione delle attività in loco, mi sono sentita pronta e supportata prima, durante e dopo la partenza. 

Tu hai avuto sicuramente un impatto molto positivo sui bambini e sulle persone che hai incontrato, invece a te questa esperienza cosa ha lasciato?

Sono partita per capire se la cooperazione internazionale facesse davvero al caso mio e la risposta è stata un enorme e certo “Sì!”. Dopo questa esperienza mi sono convinta ancora di più della strada che voglio intraprendere per il mio futuro, infatti ad oggi sto seguendo un Master in Cooperazione Internazionale per lo Sviluppo Sostenibile e ne sono contentissima.

Oltre a ciò, il volontariato mi ha lasciato anche tanto altro, facendomi scoprire cose di me che non immaginavo. Non solo in Africa stavo bene e mi sentivo a casa, ma ho preso anche consapevolezza delle mie capacità, mi sono messa in gioco dimostrando a me stessa che ero in grado di farcela. Ho acquisito una sicurezza e una fiducia nuova perchè, nonostante le difficoltà, sono riuscita ad adattarmi e a portare a termine il mio progetto con successo.  

Ho riscoperto la bellezza dei legami umani e dell’importanza delle connessioni che creiamo con gli altri. Inoltre, aver trascorso 2 mesi a stretto contatto con persone che vivono con molto poco mi ha reso più cosciente del mio privilegio e della nostra fortuna.

Ti va di parlarci della campagna di raccolta fondi che hai realizzato grazie al programma Givin’Around al tuo rientro?

Una volta tornata a casa erano tutti molto curiosi e pieni di domande riguardo la mia esperienza di volontariato. Allora, parlando con i ragazzi del Circolino Semifonte ARCI di cui faccio parte, ci è venuta l’idea di organizzare degli eventi sociali dal titolo “Cantastorie”, in cui ogni persona poteva raccontare le proprie storie di viaggio. Io ho aperto le danze di questa rassegna parlando della mia esperienza e, visto l’interesse riscontrato, abbiamo pensato di lanciare anche una campagna di raccolta fondi per sostenere la scuola presente nel villaggio di Suguta dove avevo lavorato. 

Dopo essermi confrontata con Padre Raphael Naukot (il coordinatore locale dei progetti del villaggio di Suguta ndr)  sulle esigenze della comunità, abbiamo deciso che i soldi raccolti sarebbero stati usati per acquistare un biodigestore, ovvero una struttura in cemento e metallo che separa i solidi organici dall’acqua e la ripulisce da agenti patogeni da posizionare sotto ai bagni degli studenti. Nella scuola di Suguta, infatti, ci sono oltre 500 studenti ma solo 2 bagni con 8 wc e il sistema fognario è inesistente. Questo fa sì che i rifiuti organici e le acque reflue vengano scaricate all’interno di una fossa settica che, una volta piena, rende inutilizzabili i bagni. Un biodigestore era la soluzione perfetta poiché avrebbe permesso di lavorare e depurare le acque reflue ottenendo così dell’acqua utilizzabile per innaffiare l’orto della scuola, il cui raccolto serve per preparare i pasti di tutti i bambini. In questo modo avremmo risolto anche il problema dell’approvvigionamento dell’acqua per l’orto durante i periodi di siccità. 

Grazie all’aiuto dei responsabili di Givin’Around, il programma di personal fundraising per i volontari e le volontarie Plannin’Around, abbiamo fatto partire la campagna “Givin’Around Clean Water Suguta”, per raccogliere i fondi necessari ad acquistare e installare il biodigestore prima dell’inizio dell’anno scolastico. La campagna ha riscosso molto successo e grazie al sostegno ricevuto dai donatori e dal Circolino Semifonte ARCI il 16 gennaio sono incominciati i lavori all’interno della scuola e, con grande felicità nostra e degli abitanti del villaggio, in quindici giorni il biodigestore è stato installato e pronto ad essere utilizzato.  

Quindi, tirando le somme, rifaresti ancora tutto da capo? 

“Sì, assolutamente!”

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