Ciao Jacopo, iniziamo parlando un po’ di te: chi sei, quanti anni hai e come mai ti sei avvicinato al mondo del volontariato internazionale?
Ciao sono Jacopo e sono un ragazzo di 23 anni al quarto anno della triennale di Filosofia. L’anno scorso, infatti, ho deciso di interrompere brevemente i miei studi universitari per dedicarmi a un’esperienza di volontariato in Nepal, prolungando così il mio percorso accademico di un anno.
Mi sono avvicinato al mondo del volotariato in maniera abbastanza casuale. In quel periodo sentivo la crescente necessità di staccarmi dalla retorica dell’università e focalizzarmi su tutto ciò che fosse “altro”. All’interno del mio percorso universitario, dopo anni a studiare filosofia morale e politica, ho avuto un momento di crisi verso la teoria: non riuscivo ad applicare nel concreto ciò che stavo imparando. Dovevo vedere se il mio interesse verso le questioni sociali fosse applicabile al mondo reale.
Dall’altro lato, sentivo una forte spinta a partire. A ottobre del 2021 la mia idea era quella di andare in Eritrea un mesetto e scrivere, ma mi sono accorto dopo un po’ che non si poteva uscire dalla capitale a causa di una guerra civile in corso. Ho pensato allora di ripiegare su un paese di campagna in Slovacchia, finchè un giorno ho parlato con una mia amica, Elisa, la quale mi ha introdotto Plannin’Around e così la mia voglia di prendere e partire si è accidentalmente congiunta al mondo del volontariato.
Come hai conosciuto Plannin’Around e perché hai scelto questa associazione?
Elisa mi ha fatto conoscere l’associazione, parlandomi molto bene di Francesco, il presidente di Plannin’Around, e della sua prima esperienza.
In quel momento ero ancora in fase di ricerca ma, dopo essermi confrontato direttamente con Francesco, mi sono convinto a partire con loro per diversi motivi: in primis perchè è un’associazione che lascia molta libertà nell’ideazione del progetto, offrendo allo stesso tempo tutti gli strumenti di cui si ha bisogno e permettendoti quindi di rivestire un ruolo più attivo e responsabile; inoltre sono rimasto molto colpito da Francesco e dalla sua decisione, insieme a quella degli altri fondatori, di costruire un’associazione di volontariato a soli 23 anni.
Sembrava tutto perfettamente in linea con il mio percorso teorico: volevo applicare ciò che stavo studiando e l’associazione mi offriva esattamente questa possibilità.
Qual è stato il tuo progetto e come è nata l’idea?
La mia idea era quella di portare un progetto educativo incentrato sulla filosofia e, parlando con Francesco, abbiamo convenuto che il Nepal fosse la meta migliore dove realizzarlo. L’intento era provare a portare un cambiamento positivo in me e negli altri, traslando nel mondo reale quello che stavo studiando all’università per testarne gli effetti. Inoltre, ero anche curioso di vedere se il ruolo di educatore mi avrebbe gratificato.
Non avevo in mente qualcosa di ben definito, sapevo solo che volevo creare un progetto a partire dai miei studi, ma non avevo ancora ben chiaro il concetto di “pratica di filosofia”. Verso fine maggio ho fatto un colloquio con un professore universitario che teneva un laboratorio di “Philosophy for Children and Community”, il quale mi ha suggerito di seguire un seminario a luglio dedicato appunto all’insegnamento della filosofia per bambini. Il seminario mi è stato di grande aiuto perchè mi ha permesso di definire meglio la parte pratica del mio progetto attraverso l’uso un metodo ben definito e istituzionalizzato.
Nel concreto, durante la pratica del progetto in Nepal, io svolgevo il ruolo di facilitatore, ovvero un moderatore con competenze filosofiche, e dovevo occuparmi di direzionare e approfondire un discorso filosofico all’interno della classe. In aula portavo del materiale (testo, video, canzone) dal quale partire per la costruzione di un successivo dibattito.
Il secondo step era la formulazione di domande che permettessero di andare alla radici delle questioni legate al testo/video/canzone. Tra tutte le domande sorte, insieme ne sceglievamo una, la più interessante, ampliando la discussione che rappresentava il nucleo della pratica.
Durante la fase finale della pratica chiedevo agli alunni e alle alunne di valutare la lezione da una scala da 1 a 10 seguendo 4 indicatori: impatto psico-emotivo, apprendimento, ascolto e ruolo del facilitatore.
Quali sono state le difficoltà principali che hai riscontrato una volta arrivato a destinazione?
L’inglese è stato un po’ un problema. Quando ho svolto il seminario in Italia il livello di consapevolezza delle pratiche che si stavano svolgendo era molto alto, inoltre vi era un totale padronanza del linguaggio.
Durante la stesura del progetto non ero consapevole del livello di inglese degli studenti, quindi questo fattore è rimasto un’incognita finché non sono entrato in classe.
Quando ho iniziato a portare i miei testi mi sono reso conto che i ragazzi non ne comprendevano appieno il significato, infatti le loro domande erano spesso fuori contesto. Ho cercato comunque di prendere tutti gli stimoli che riuscivano a darmi, adattandomi a loro, e questo mi ha permesso di portare comunque a termine il progetto. Alla fine ero soddisfatto del lavoro svolto insieme.
Per quanto riguarda l’integrazione, per me è stato molto facile adattarmi al contesto: ho mangiato benissimo, parlato con tante persone e fatto conoscenze preziose. In Nepal sono stati tutti molto accoglienti e volenterosi di farmi imparare la loro lingua e cultura. Non mi sono mai sentito in pericolo, nemmeno viaggiando da solo.
Il corso di formazione ti è stato d’aiuto per capire meglio come strutturare il progetto e per incrementare il tuo impatto sociale?
Il corso di formazione è stato fondamentale. Avevo bisogno di creare un progetto mio e per farlo mi servivano delle basi che ho appreso solo con la formazione. La tecnica di progettazione è di per sé uno strumento della pratica di filosofia, poichè le dona una forma concreta. Una buona progettazione permette di porti le domande giuste, concretizzare quello che stai facendo e valutarlo legando criticità e obiettivi, attività e risultati. In questo modo puoi arricchire la pratica rendendo l’insegnamento di maggior impatto.
Tu hai avuto sicuramente un impatto molto positivo sugli studenti e sulle persone che hai incontrato, invece a te questa esperienza cosa ha lasciato?
Questa esperienza ha avuto un enorme impatto su me stesso e sulla mia autoconsapevolezza. Mi ha lasciato una nuova prospettiva con cui vedermi a livello spirituale, facendomi capire che cosa è davvero importante nella mia vita. Ad oggi mi vedo più maturo, sereno, capace di apprezzare le piccole cose.
Grazie a questa esperienza oggi conservo nuove conoscenze bellissime e nuove persone che rispetto e ammiro. Sono più cosciente delle differenze culturali e dell’importanza del ruolo di educatore.
La tua collaborazione con Plannin’Around non è finita al tuo rientro ma continua ancora oggi, vuoi spiegarci in che modo?
Adesso sono diventato tutor per la Splendid Valley School, in Nepal, e ho collaborato nella giuria del Premio Letterario Raffaella Cenni che rientra tra i progetti sostenuti dall’associazione all’interno del territorio italiano.
Il mio metodo e il mio progetto sono piaciuti molto all’associazione, infatti stiamo pensando di renderli parte integrante dei Progetti Plannin’Around.
Quindi, tirando le somme, rifaresti ancora tutto da capo?
Rifarei tutto da capo, migliorando le cose che ho sbagliato.